E' stato realizzato nel territorio di Buscemi (SR) un campo-studio sotto la direzione della Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Siracusa che si è avvalsa della disponibilità dei volontari di SiciliAntica di Buscemi e di alcuni soci di SiciliAntica di Ragusa e Catania.
I volontari, impegnandosi con entusiasmo nel lavoro di ricerca, hanno riportato alla luce numerosi reperti di indubbio interesse archeologico che saranno, ulteriormente, analizzati e restaurati.
I soci di Buscemi hanno avuto non soltanto l'occasione di provare una nuova esperienza ma, principalmente, l'opportunità di acquisire la conoscenza e la tecnica degli scavi: operazione sperimentale, sicuramente, costruttiva che offre lo spunto per saggiare, con elaborazioni personali e verifiche di gruppo, le ricerche effettuate.
La sede locale di Buscemi, sotto la guida del presidente Raimondo Pedalino, si attiverà per l'organizzazione di un convegno che avrà lo scopo di mettere in rilievo l'importanza dello studio effettuato.
I volontari di SiciliAntica quest’anno impegnati nello scavo a Contessa di Sotto (Casmene), hanno partecipato ad una serie di lezioni propedeutiche agli scavi veri e propri, per ottenere una preparazione teorica riguardante l’area interessata dalla ricerca, le modalità di scavo, di raccolta e catalogazione dei reperti, e di quelle informazioni che è opportuno conoscere quando ci si avvicina per la prima volta ad uno scavo archeologico.
Nel corso del primo di questi incontri, tenutosi presso la Libreria Antiquaria Boemi Prampolini di Catania, l’archeologa Laura Carracchia della Soprintendenza di Siracusa ha descritto il sito oggetto del saggio dello scorso anno, illustrandolo attraverso la proiezione di diapositive.
L’indagine sul sito di Casmene è partita dallo studio di alcune foto aeree che, elaborate attraverso tecniche ad infrarosso ed a contrasto di colore, hanno evidenziato una serie di tracce di colore più chiaro e disposte in modo uniforme e regolare, che denunciavano la probabile presenza di manufatti nel sottosuolo.
La fotografia aerea, lo studio della colorazione della vegetazione, la termografia, il georadar, sono tecniche utilizzate per fare uno screening iniziale della situazione, che consenta, nei casi in cui non si debba intervenire con somma urgenza, di programmare indagini mirate.
L’archeologia è la disciplina che indaga ordinatamente a ritroso nel tempo, studiando e raccogliendo tutti gli elementi che permettano di ricostruire, con la più grande precisione possibile, la società del passato, la storia dell’uomo nel suo quotidiano divenire e l’ambiente in cui viveva. Per questo l’archeologo svolge la sua opera in collaborazione con un gruppo di ricerca che comprende specialisti di vari campi, fra i quali la zoologia, la botanica, la storia dell’arte, la geologia, ciascuno dei quali, attraverso le proprie specifiche conoscenze, interpreta e compara le varie tracce riportate in luce.
Lo scavo programmato si svolge secondo la metodologia stratigrafica, tendente a ricavare tutte le informazioni possibili dal terreno che, strato dopo strato, viene “sfogliato”, come fosse un libro, iniziando dall’ultima pagina, cioè ‘smontando’ tutti gli elementi che compongono ogni strato, in senso inverso a quello in cui sono stati depositati. Ogni pagina, cioè ogni strato, viene esaminato in tutte le sue componenti, naturali e di contenuti.
Questi ultimi possono essere recuperati, dopo essere stati accuratamente descritti, riprodotti in foto e disegni, annotati sul giornale di scavo e sulle schede relative allo strato in esame.
Tale precisione è indispensabile, poiché lo scavo è in fondo un’opera di ‘distruzione’, che non consente di tornare indietro a riesaminare particolari prima tralasciati, che sono irrimediabilmente perduti.
Anche il più prezioso dei reperti, privo di informazioni sul suo ritrovamento, perde ogni valore scientifico e diventa interessante solo per ciò che rappresenta tipologicamente.
Si asporta quindi uno strato alla volta di terreno (unità stratigrafica), “smontandolo” e studiando tutti gli elementi che lo hanno composto, documentandone ogni particolare.
E’ importante riconoscere i diversi strati, separando i materiali che li costituiscono, evitando di mescolarli e quindi inquinarli. Lo spessore delle varie unità stratigrafiche non si stabilisce a priori, ma viene determinato in sito, seguendo le indicazioni che il terreno stesso mostra, da un diverso colore o da una diversa consistenza o composizione del materiale.
Tutti i frammenti ritrovati in ogni unità stratigrafica vengono recuperati, etichettati e conservati in cassette separate.
Gli attrezzi utilizzati in queste operazioni di scavo sono il piccone e la pala, per iniziare la trincea, poi la cazzuola a punta triangolare e quella rettangolare, se gli strati hanno piccoli spessori, e quindi la spazzola a setole di nylon, usata per asportare il terriccio che circonda un reperto. Sono inoltre presenti in prossimità dello scavo dei secchi, per accumulare via via il materiale di riporto, e la carriola, usata per allontanarlo temporaneamente dallo scavo.
Nella seconda lezione propedeutica agli scavi di Casmene, l’archeologa Daniela Midolo ha descritto la metodologia di compilazione del giornale di scavo e delle schede U.S. (Unità Stratigrafica), che, insieme alla documentazione video-fotografica, servono a descrivere in maniera precisa tutte le azioni compiute in fase di scavo, in modo da consentire a chiunque ed in qualunque momento una ricostruzione della situazione così come è apparsa agli operatori di quella campagna.
Il giornale di scavo è un vero e proprio “diario”, in cui si trascrivono ogni giorno tutte le operazioni eseguite, le riflessioni fatte e le impressioni ricavate nelle varie fasi di lavoro. Ogni particolare, anche quello più insignificante, potrebbe, con il proseguire dello scavo, rivelarsi utile a comprendere o a verificare una situazione che al momento può apparire oscura, e quindi deve essere annotato.
La compilazione delle schede U.S. è necessaria per scomporre e registrare tutti gli elementi oggettivi riscontrati in ogni strato che si è scavato. Questi modelli di scheda, elaborati negli anni ’80 dall’Istituto Centrale per il Catalogo, presentano una serie di “voci” alle quali bisogna rispondere in maniera esatta.
Dopo aver localizzato esattamente lo scavo, indicando i riferimenti toponomastici o cartografici, bisogna determinare le quote, minima e massima, dello strato relative ad un punto assoluto, certo ed inamovibile, ed anche rintracciabile in seguito.
Si deve poi indicare se lo strato si è costituito a seguito di un’azione naturale, o se invece è stato creato dall’uomo; i disegni e le foto che fanno riferimento a quel momento dello scavo e i materiali rinvenuti sullo strato stesso, inoltre si descrive il tipo di terriccio, il suo colore, la sua consistenza e granulometria.
Facendo poi eventuali riferimenti e collegamenti ad altre schede precedentemente riempite, si ottiene la sequenza fisica e cronologica dei vari strati.
La compilazione di ogni scheda risulta alquanto elaborata per la quantità di informazioni che contiene e richiede una precisa attenzione rispetto a tutti i particolari rintracciati nello strato. E’ importante che venga compilata con la più grande precisione in ogni sua parte, perché documenta una situazione che, scavando, non si potrà mai più ricostruire.
La documentazione dello scavo comprende anche le fotografie e le diapositive, che vengono realizzate per illustrare i vari stadi del lavoro. Le fotografie in bianco e nero si utilizzano per le pubblicazioni, mentre le diapositive a colori si proiettano in conferenze a scopo didattico.
Le foto vanno fatte considerando la luce migliore, che faccia risaltare i particolari. All’interno del saggio viene posizionata una lavagnetta, in cui si segna la località e la data cui lo scavo si riferisce e il numero di unità stratigrafica che si sta fotografando.
Inoltre viene indicato l’orientamento, attraverso una freccia direzionata a nord, e, per dare un’idea delle dimensioni, si posiziona una palina graduata. Il saggio da fotografare deve essere perfettamente pulito dalla terra superflua.
Quando se ne ha la possibilità, risulta molto proficuo utilizzare la fotografia aerea, non soltanto in fase preventiva, ma anche durante i lavori di scavo, perché, oltre a documentare ulteriormente il lavoro in corso, può servire a cogliere dei particolari che altrimenti sfuggirebbero.
Le foto dall’alto sono inoltre indispensabili per la restituzione cartografica dello scavo.
"Analisi socioeconomica sito preistorico di Contessa di Sotto: un approccio integrato"
La collaborazione tra le Soprintendenze e SiciliAntica, cominciata anni fa in forma sperimentale, coinvolgendo soci volontari, si è rivelata proficua per quanto riguarda i risultati raggiunti, grazie all'impegno dei partecipanti agli scavi, animati da autentica passione e sopportati da una crescente competenza.
La ricerca sul territorio, con le varie iniziative di scavo alle quali hanno preso parte i nostri associati, si è via via organizzata, ed è diventata un utile strumento per effettuare delle campagne di scavo impiegando mezzi economici limitati.
Le attività che hanno impegnato i soci di SiciliAntica sono state ricordate dalla Dott.ssa Beatrice Basile, direttore della sez. III della Soprintendenza ai BB.CC.AA di Siracusa, in apertura alla conferenza "Analisi socioeconomica del sito preistorico di Contessa di Sotto (Buscemi): un approccio integrato", tenutasi il 20 giugno scorso alle Ciminiere di Catania.
Fra le attività di scavo dei soci di SiciliAntica nel territorio di Siracusa, è stata interessata l'area di Megara Hyblea in due distinti periodi, che sono state vere e proprie "campagne di scavo'' per la durata e per il numero di soci che sono stati impegnati.
Sono tuttora in corso a Sortino delle ricerche di archeologia medievale, settore nuovo e ricco di prospettive.
L'esperienza svolta a Contessa di Sotto, località posta alle sorgenti dell'Anapo, circondata dai due bracci del fiume tra le alture del monte Lauro, a poca distanza da Buscemi, iniziata nel settembre dello scorso anno, si è concretizzata grazie all'aiuto dei dilettanti volontari guidati da una équipe di specialisti l'archeologa Laura Caracchio, lo zooarcheologo Salvo Chilardi e la dott.ssa Iovino, esperta nello studio di materiali litici.
L’insieme di competenze specializzate ha consentito di ampliare e sviluppare le informazioni ricavate dai reperti esaminati per questo si è parlato di metodologia di scavo con "approccio integrato".
L'indagine è partita dallo studio, di alcune foto aeree che, attraverso l'individuazione di una serie di tracce di colore più chiaro e disposte in modo regolare, hanno evidenziato la probabile presenza di manufatti nel sottosuolo.
Il saggio ha interessato un'area di circa 100 mq in una proprietà privata (i proprietari hanno gentilmente concesso di "scandagliare" il loro terreno a fini scientifici), ed è stato svolto con metodologia stratigrafica. Già a 25-35 cm dal piano di campagna, tolto quindi il primo strato di terreno vegetale, è affiorato lo strato preistorico, in cui sono stati rinvenuti e raccolti per essere esaminati, frammenti ceramici, ossi di animali e selci lavorate. Si notavano inoltre tracce di combustione in alcuni reperti, e pietre di medio taglio sparse in modo casuale, forse a causa delle arature del terreno, e quindi non è stato possibile, a tutt'oggi, attribuire con certezza ad interventi costruttivi di opera umana.
Tutti gli oggetti e i materiali esaminati, omogenei tra loro, risalgono alla fase del bronzo antico (1800 a.C.) ed in particolare al periodo Castellucciano. Ampliando il saggio, si è trovato lo strato archeologico intatto a 20 cm dalla superficie. E’ apparsa una piastra fittile frammentata (forse la base d'appoggio per una macina) e un pithos incassato nel terreno, i cui pezzi sono stati ricomposti con abilità e pazienza nei laboratorio di restauro.
L'impasto d'argilla del pithos ha uno spessore di circa un centimetro e mezzo, la forma è mancante della parte superiore e dell'orlo e presenta sul fondo un graferna a forma di freccia, simile ad un altro ritrovato in uno scavo in provincia di Agrigento.
Sullo strato di terra argillosa erano presenti decine di forme vascolari frammentate in posto. Una volta completata la documentazione grafica e fotografica, utile a riprodurre ogni oggetto nella propria posizione rispetto allo scavo, anche questi reperti sono stati recuperati e ricomposti in laboratorio.
Le diapositive che sono state mostrate hanno illustrato il risultato del restauro: coppe su alto piede a due o tre anse, porzioni di tazze attingitoio, brocchette, bicchieri troncoconici e altri frammenti di tipiche forme appartenenti alla cultura castellucciana.
Le caratteristiche di questa ceramica sono un color crema rosato e la decorazione, visibile su brevi tratti nei reperti ritrovati, a banale verticali brune o motivi ad angoli alternati.
Per quanto riguarda gli studi effettuati sulle "industrie litiche", cioè gli utensili in pietra, la dott.ssa Iovino e i suoi collaboratori hanno sottoposto le selci ritrovate ad una serie di analisi funzionali volte a definirne la forma e comprendere il modo in cui sono state utilizzate. per individuare le attività svolte con quegli attrezzi in quel sito.
Attraverso l'impiego di microscopi sono state esaminate le superfici di ogni utensile, per riconoscere eventuali depositi dei materiali trattati con ciascun attrezzo e per risalire al loro utilizzo.
Lo studio delle usure lungo i margini dei reperti, inoltre, può dare indicazioni sul tipo di movimento effettuato con la pietra, se essa faceva parte di un attrezzo composto da più elementi (che in qualche caso si può anche ricostruire), e con quali materiali è entrata in contatto.
Dei reperti raccolti a Contessa di Sotto, l’80% era costituita da selce, sotto forma di ciottolo e forse proveniente dalla zona del ragusano.
Erano inoltre presenti un esemplare di quarzo ialino comunemente conosciuto come cristallo di rocca, di cui non è stata giustificata la presenza e due lamelle di ossidiana, con la superficie alterata da combustione e da contatti accidentali.
Le tracce di uso individuate su questi strumenti indicano che essi sono stati utilizzati per il taglio di materiali silicei e non silicei e di ossi.
Quindi le attività svolte su quel sito potevano essere di tipo agricolo (raccolta del grano preceduta dalla ripulitura del terreno con il taglio delle canne esistenti) artigianale (costruzione di strumenti ed utensili) e di lavoro sugli animali (macellazione, scuoiamento).
Dallo studio degli ossi recuperati nello scavo si può definire la composizione della fauna. Più della metà degli ossi ritrovati appartenevamo ad ovini e caprini (impossibile distinguere i resti delle due specie, data la simile composizione dello scheletro).
Si è potuto pero riscontrare un gran numero di ovini uccisi in tenera età. Questo fa dedurre che le pecore venivano allevate soprattutto per la produzione di latte, dato che gli agnelli venivano soppressi per non sottrarre tale alimento, e non per la lana, perché per tale scopo gli ovini devono raggiungere almeno i quattro anni di età.
Erano inoltre presenti bovini, nei cui ossi sono state trovate tracce di scuoiamento, il che conferma la possibilità che le pelli venissero lavorate, e suini, tra cui includiamo anche i cinghiali.
Una buona percentuale di ossi ritrovati appartenevano a cervi, e questo presuppone, oltre ad attività di caccia svolte nelle vicinanze, la presenza di un bosco di querce essenziale per la vita di questo animale e che forniva anche il nutrimento ai suini selvatici.
Il risultato degli studi svolti su tutti i materiali fin qui descritti, non riesce però a far stabilire con precisione se lo scavo ha avuto come oggetto uno spazio esterno, come sembrerebbero indicare le attività svolte (cerealicoltura, caccia, presenza di pascoli, lavoro sulle pelli), o uno spazio interno (le forme vascolari ritrovate sono tipiche di oggetti di uso comune e anche la piastra litica fa propendere per questa ipotesi).
Anche la posizione naturale del luogo, se da un lato sembrerebbe ideale per l'abbondanza di acqua e di risorse vegetali, a riflessioni più attente fa venire qualche dubbio.
Il terreno naturale si trova intatti in leggero pendio, chiuso fra i bracci di un fiume che nella stagione invernale potrebbe essere soggetto a piene e quindi rappresentare un sito anomalo e pericoloso per impiantarvi un insediamento stabile.
Continuare la ricerca per delineare più compiutamente la fisionomia del luogo e recuperare un altro tassello della nostra storia ci sembra auspicabile. Con la collaborazione dei proprietari del terreno, gentilissimi e disponibilissimi custodi dei segreti ancora celati e con l'impegno dei soci di SiciliAntica della vicina sede di Buscemi, protagonisti dell'esperienza descritta, si potrà dare risposta a questi interrogativi e ricostruire storicamente un contesto attualmente misterioso.
Silvana Musso
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