SiciliAntica Sede di Caltanissetta VIII Convegno di Studi 21-22 maggio 2011 Dal mito alla storia. La Sicilia nell’Archaiologhia di Tucidide ABSTRACT Auditorium della Biblioteca Comunale "L. Scarabelli" Corso Umberto I – Caltanissetta Gioacchino Francesco La Torre L'archaiologia tucididea e la cronologia delle più antiche colonie greche di Sicilia Il testo di Tucidide (VI, 3-5) costituisce ancora oggi il punto di partenza per la determinazione della cronologia assoluta delle più antiche colonie greche di Sicilia. Lo studio delle ceramiche del tardo-geometrico greco e del Protocorinzio antico (750-700 a.C.) rinvenute negli strati di vita più antichi di Siracusa, Naxos e Megara Iblea consente di avvalorare la sequenza tucididea; Siracusa, Naxos, Megara Iblea e poi Leontinoi e Catania, distanziate in Tucidide di pochissimi anni, alle quali si può aggiungere Zankle, per la quale il grande storico ateniese non fornisce alcun elemento di cronologia, sotto il profilo archeologico risultano praticamente contemporanee, avendo tutte restituito materiali del Tardo-Geometrico I (750-730 a.C.). L’esame delle restanti fonti letterarie relative all’epoca di fondazione delle colonie (Eusebio, il Marmo di Paro, Filisto, Eforo in Diodoro) permette di avanzare l’ipotesi che la prima ondata coloniale in Sicilia possa essere avvenuta negli anni intorno al 750, piuttosto che non in quelli intorno al 730, come oggi comunemente si ritiene, sulla base dell’autorità di Tucidide. Tale ipotesi riposa sul riconoscimento del fatto che Tucidide non fornisce date assolute e che le date assolute che si attribuiscono allo storico sono il frutto della ricostruzione operata dai moderni, essenzialmente basata per la fase più antica sui dati, evidentemente arrotondati, relativi a Megara Iblea, che sarebbe stata distrutta 245 anni dopo la fondazione e che a sua volta avrebbe fondato Selinunte 100 anni dopo la sua nascita. Queste cifre intere (100 anni) o multiplo di una generazione (di 35 anni) non permettono di risalire con certezza al fatidico 727/6 quale anno di fondazione di Megara, a partire dal quale calcolare gli intervalli riportati da Tucidide per tutte le altre e ricavare la tradizionale sequenza con Naxos al 734/3, Siracusa al 733/2, Leontinoi e Catania al 728/7 etc. La sequenza relativa fornita da Tucidide rimane sostanzialmente valida, ma non i valori assoluti restituiti dagli studiosi moderni. Tale ipotetico rialzamento di una ventina di anni avvicina la data di fondazione delle prime colonie siciliane a quelle del Golfo di Napoli, Pithecusa e Cuma, la cui anteriorità, seppur minima, è avvalorata dalle fonti (Strabone) e confermata anche dai documenti archeologici, i più antichi dei quali ricadono ancora nella fase finale del Medio-Geometrico II (secondo quarto dell’VIII sec. a.C.). Pier Giovanni Guzzo Tucidide e le Isole
Francesca Mattaliano
Thuc. VI 3, 2: I Corinzi, Ortigia e Siracusa polyanthropos
Nell’Archaiologia siceliota, Tucidide presenta le notizie relative alla fondazione di Siracusa in accordo a un’ideale di brevitas che ne comprime i confini all’interno della più grande parentesi dedicata alle spedizioni calcidesi. Di Siracusa Tucidide menziona soltanto il nome del fondatore: Archia, un eraclide proveniente da Corinto e la data, in cronologia relativa, di appena un anno successivo a quella di Naxos, ricordando, inoltre, la rimozione dell’ethnos siculo dall’isola di Ortigia (di cui però non cita il toponimo) e una notazione riguardante la crescita esponenziale della popolazione siracusana compresa all’interno della mura. Attraverso una scansione in brevi dossier sui principali aspetti connessi con la ricostruzione tucididea, si legge il paragrafo in questione alla luce delle testimonianze offerte sia dall’Archaiologia tucididea del I libro, sia da altre in nostro possesso: in particolare, brani tratti da Ibico, Strabone, Pausania, dagli scolii pindarici e dal Marmor Parium.
Massimo Frasca
Tucidide e l’archaiologia di Leontinoi
Leontinoi compare più volte nella narrazione di Tucidide sul conflitto tra Atene e Siracusa. I passi tucididei si rivelano di grande interesse per la ricostruzione della storia archeologica della colonia calcidese. In particolare i riferimenti di Tucidide consentono di riesaminare tre aspetti dell’archeologia di Leontinoi alla luce delle indagini effettuate nel corso degli ultimi decenni nel sito urbano e nel suo territorio: il primo stanziamento coloniale e i rapporti con i Siculi presenti nel sito; i confini della chora leontina; l’ubicazione di due luoghi fortificati nella città e nel suo territorio.
J. de La Genière
Lindioi, Mito o Storia ?
Il passo di Tucidide (VI, 1, 4) relativo ai primi tempi di Gela ha suscitato, fin dalla fine del novecento, alcune interrogazioni. La prima è stata quella di Schubring che ha sostenuto l’idea che un insediamento fortificato precoloniale, Lindioi,ubicato a Capo Soprano, avrebbe preceduto la fondazione di Gela. In seguito, nel 1963, P. Orlandini, fondandosi sullo studio di H. Wentker del testo tucidideo, pubblicava alcuni reperti archeologici isolati, giudicati anteriori alla data di fondazione di Gela (689/688 a.C.), dando cosi una certa consistenza all’ipotesi Lindioi, senza proporre un’ubicazione.
Da allora è passato un mezzo secolo durante il quale non è venuto fuori materiale, né strato, né fortificazione di età subgeometrica; le cronologie sono state precisate, riducendo il numero degli oggetti che giustificavano l’ipotesi. E, se si misura la forza dei legami esistenti, soprattutto sul piano del sacro, tra Gela e Lindos, non dovrebbe sorprendere che il nome di Lindioi sia stato dato a un quartiere dell’abitato.
Stefano Vassallo
La colonia dorico-calcidese di Himera. Dal racconto di Tucidide e di Diodoro Siculo all’archeologia.
Ben poche sono le notizie pervenuteci dalle fonti antiche sulla storia di Himera; se si escludono le preziose indicazioni di Tucidide sulla fondazione della colonia e il racconto di Diodoro Siculo, soprattutto sulle battaglie del 480 e del 409 a.C., si tratta sempre di citazioni molto brevi e sintetiche.
Al contrario, le intense ricerche sistematiche condotte da diversi decenni nell’abitato e nelle necropoli imeresi, dall’Università e dalla Soprintendenza di Palermo, stanno generosamente contribuendo a restituire alcuni dei momenti più significativi della storia di questa colonia, consentendo spesso di confermare ed approfondire i pochi dati riferiti dagli storici. Alla luce delle indagini sul terreno si vuole, pertanto, tornare su alcuni di questi aspetti – data di fondazione del 648 a.C., topografia, culti, battaglie di Himera e distruzione e abbandono della città– per mettere a confronto il dato storico con il risultato della ricerca archeologica.
Roberto Sammartano
Gli Elimi in Tucidide
Nel descrivere l’identità etnica degli Elimi Tucidide (VI 2, 3) sembra fare, a prima vista, un’eccezione alla sua prassi storiografica: egli sconfina nel campo del mito, accogliendo le notizie che facevano risalire le origini di questo popolo ad alcuni eroi troiani scampati alla distruzione della loro città e ad un gruppo di Focesi (della Focide) anch’essi reduci dalla guerra di Troia. La patina di nobiltà che circonda l’immagine degli Elimi (non solo in Tucidide, occorre sottolineare) viene solitamente giustificata con il ruolo di primo piano svolto da queste genti nel contesto politico degli anni 418-416 a.C., quando gli Ateniesi maturarono le decisioni di stringere relazioni di philia e di symmachia con gli abitanti di Segesta, e di aderire alle richieste di aiuto avanzate dagli alleati elimi, impegnati in una delle ricorrenti guerre con i confinanti Selinuntini. È opinione comune, infatti, che la notizia sulle origini troiane degli Elimi sia in qualche modo strumentale all’esposizione, contenuta nei capitoli VI 9-23, del vivace dibattito politico accesosi ad Atene sulla decisione da prendere in merito all’invio della spedizione militare in appoggio dei Segestani. In tale occasione, la nobilitante marca troiana degli Elimi sarebbe stata sfruttata, soprattutto dalla fazione degli interventisti guidata da Alcibiade, come un valore aggiunto alle motivazioni propugnate a favore della seconda spedizione in Sicilia.
Va tuttavia evidenziato che né nell’antiloghia tra Nicia e Alcibiade né nel resto dell’opera tucididea si fa alcun cenno alle peculiari origini troiane degli Elimi. Ancor più sorprendente può sembrare l’assenza di ogni riferimento alle origini miste, troiane-focidesi, dell’ethnos siciliano, che viene pur sempre qualificato da Tucidide con l’etichetta poco edificante di ethnos barbaro.
Il presente intervento mira a fornire alcune precisazioni in merito al rapporto storiografico tra il capitolo dell’archaiologhia dedicato alle origini degli Elimi e le notizie sulle trattative diplomatiche tra Atene e Segesta. A tale scopo viene riesaminato, alla luce di alcune recenti interpretazioni, il significato attribuito, nell’immaginario greco in generale e in particolare presso gli ambienti culturali ateniesi dell’epoca di Tucidide, al motivo della identità troiana di diversi popoli non-greci. Accanto a questo tema, una particolare attenzione viene rivolta al contributo che, nell’ottica tucididea, i Focidesi avrebbero apportato alla formazione dell’ethnos elimo. Il dato leggendario, di non facile decodificazione, va accostato ad altre tradizioni letterarie incentrate sulla cooperazione di eroi greci e troiani nella fondazione di realtà etniche occidentali, e sembra risalire a contesti storici differenti rispetto all’epoca della Guerra del Peloponneso. Comunque sia, Tucidide offre poco spazio nelle pagine storiche all’immagine "filo-ellenica" degli Elimi: il tema della loro affinità con il mondo greco era ai suoi occhi tanto pretestuoso quanto lo era il motivo della syngeneia tra le varie stirpi elleniche, su cui si era basato il gioco delle alleanze militari prima e durante la più grande guerra civile tra Greci.
Massimo Cultraro
I Siculi all’ombra del vulcano: per una definizione delle dinamiche culturali nella regione etnea tra Bronzo Finale e prima età del Ferro
Nell’ultimo decennio l’ attività di ricerca archeologica sul terreno, insieme alla revisione di complessi di materiali acquisiti in passato, ha permesso di ridurre alcune significative zone d’ombra che interessano gli assetti culturali nella regione occidentale del comprensorio etneo nel corso della protostoria. L’ampio periodo compreso tra il Bronzo Finale (XII sec. circa) e la prima età del Ferro, rappresenta per la Sicilia il momento di formazione e consolidamento delle comunità indigene, fino alle soglie del fenomeno coloniale greco (metà VIII sec. a.C.).
L’area in esame, che coincide con il vasto territorio comprendente la valle media del Simeto e il versante occidentale del vulcano, rappresenta una sorta di territorio-cerniera tra la regione peloritana, dominata dall’espansione della cultura ausonia, e il distretto della Piana di Catania, culturalmente riconducibile al più vasto ambito della facies di Pantalica Nord. In passato era stata più volte sottolineata la presenza di elementi di tradizione peninsulare, forse mediati attraverso la costa tirrenica, nel repertorio vascolare del Bronzo Finale/Primo Ferro da Paternò e dal suo territorio circostante. Questi aspetti sono rimasti generalmente isolati nel panorama dei processi culturali dell’area indagata e questo stato di isolamento non è apparso ridimensionato anche dopo la recente edizione di alcune tombe a pianta circolare, assegnate al Bronzo Finale, sempre da Paternò, per le quali sono stati riconosciuti possibili modelli di ispirazione egea.
Nel presente lavoro viene presentato un gruppo di materiali, ancora oggi inedito, proveniente da Paternò e attualmente conservato presso il Museo Preistorico ed Etnografico ‘L. Pigorini’ di Roma, dove venne acquisito agli inizi del ‘900. Si tratta di corredi funerari pertinenti a due distinte tombe: la prima è collocabile nel corso del Bronzo Finale e presenta interessanti elementi morfologici che rimandano alle coeve culture dell’Italia meridionale, in particolare della Calabria tirrenica. Nel secondo caso è stato ricostruito il corredo di una tomba più recente della prima, assegnabile all’orizzonte di Cassibile, che si distingue per l’associazione di alcuni prodotti locali con altri di probabile importazione dalla Sicilia centro-occidentale, riconducibili alla classe di Sant’Angelo Muxaro.
Maria Costanza Lentini
Siculi a Tauromenion e Naxos attraverso l’analisi della documentazione archeologica
A giudicare dalle fonti storiche, I Siculi appaiono aver rivestito un ruolo di rilievo nella storia di Naxos: sono presenti alla sua fondazione (Diod. 14.88.1 ), determinanti per la sua distruzione del 403 a.C. (Diod.14.15.2) Agli inizi del IV secolo a.C. essi rivendicano come terra patria il territorio della colonia, ottenendolo in parte da Dionisio il Grande (che consegna loro dopo la distruzione del 403 a.C. l’area della città), in parte da Imilcone (che li sostenne nella fondazione di Tauromenion nel 396 a.C. Diod. 14.59.2). Tra la fine del V secolo a.C. e la prima metà del IV secolo a.C., essi paiono formare una popolazione certamente ellenizzata, in possesso di una forte identità culturale, verosimilmente numerosa nel territorio di Naxos, e probabilmente efficace sotto l’aspetto militare (425 a.C. i Nassi confondono i Siculi con Greci quando essi accorrono in suo aiuto Thuc. 4.25.7-9 – Dionisio il Grande fatica ad espugnare Tauromenion Diod. 14.88 e 14.96.4 ). Il nome di Tauromenion, se come suggeriva D. Asheri, nasconde un suffisso siculo, può essere una prima e importante evidenza della consistenza di tale popolazione. Il nome è comunque diverso da quello di Naxos, e circostanza ancor più notevole, esso fu introdotto nel 358 a.C. dal greco Andromaco, fondatore della città e fautore, avendo richiamato a popolarla i Nassi superstiti e i loro discendenti, della continuità tra Naxos e Tauromenion.
A fronte di tale documentazione significativa, ma circoscritta ad un periodo fluido che vede Naxos scomparsa e Tauromenion non ancora diventata una polis greca, le evidenze in nostro possesso attestanti la presenza dei Siculi a Naxos e nel territorio per i periodi precedenti rimangono scarse. Si fa riferimento alla necropoli di Cocolonazzo di Mola, scoperta da P. Orsi (1915), e riferibile ad un insediamento di altura della Tarda età del Ferro, entrato in contatto con la colonia sin dal momento della sua fondazione (vasi euboici TG). A questa necropoli è accostabile, benché non abbia restituito corredi, quella anch’essa rupestre, meno estesa di Pietraperciata, nell’immediato entroterra di Naxos e assai più vicina al mare. Un buon segnale di come i Siculi non avessero tutti abbandonato la costa. Si fa riferimento ancora alla ben nota tomba 72 della fine dell’ VIII secolo a.C., scoperta da Paola Pelagatti nella Necropoli Nord, la più antica della colonia, e relativa all’inumazione di una donna identificabile per oggetti di ornamento deposti nel corredo con una donna sicula Ed infine la ben nota Tittabò – donna dal nome di inequivocabile origine sicula - di un graffito della seconda metà del V secolo a.C. dall’arsenale navale. Due donne ad indicare che il processo di assimilazione dei Siculi possa essere aver seguito la via dei matrimoni misti.
La scoperta recente nell’area urbana della colonia di resti di due capanne della tarda età del Ferro migliora il quadro appena tratteggiato, facendo luce sulla fase di istallazione della colonia, e prospettando possibile la presenza di Siculi al momento dell’arrivo dei coloni. Più difficile alla luce dei dati al momento raccolti supporre anche a Naxos una coabitazione iniziale tra Siculi e Greci, com’è tramandato per Leontinoi.
Caterina Trombi
L’area sicana: da Tucidide all’evidenza della cultura materiale
Le recenti acquisizioni sulla distribuzione della ceramica monocroma rossa e di quella bicroma nell’area centro occidentale e meridionale della Sicilia, offrono lo spunto per alcune riflessioni sul rapporto fonti/evidenze archeologiche. Com’è noto la produzione a stralucido rosso, peculiare della facies di Pantalica Nord e distintiva dell’ethnos sicano, scomparve dalla Sicilia orientale in seguito ai contatti delle popolazioni autoctone di quest’area con genti peninsulari (i "Siculi" delle fonti, che spinsero, secondo il racconto di Tucidide, più ad occidente i "Sicani") e venne sostituita da una produzione a decorazione incisa/impressa (facies Pantalica Sud. Metà IX-750/730 a.C.) e a decorazione geometrica dipinta (stile Licodia Eubea).
La ceramica monocroma rossa, caratterizzata da un trattamento della superficie a stralucido, nella Sicilia occidentale e meridionale continuò, invece, ad essere prodotta almeno fino al VII sec. a.C. anche se, sempre più spesso (soprattutto a partire dalla seconda metà del VII sec. a.C.), venne affiancata e poi sostituita (pieno VI sec. a.C.) da una produzione caratterizzata da un ingobbio bianco/crema su cui, spesso, in corrispondenza dell’orlo e della superficie interna della vasca, veniva applicato (più o meno uniformemente) il colore rosso arancio. Questa produzione ceramica, tra la metà del IX-VIII sec. a.C. e la fine del VI sec. a.C., risulta documentata nei siti indigeni della Valle dell’Imera (Monte Saraceno di Ravanusa), della Valle del Platani (Sant’Angelo Muxaro, Casteltermini, Polizzello, Colle Madore) e del Verdura (Caltabellotta) ma anche più ad occidente (Monte Adranone, Monte Triona, Monte Maranfusa, Monte Iato, Entella) nell’area in cui ricadono i siti (Segesta, Erice, Entella) ritenuti dalle fonti storiche e epigrafiche "Elimi"; quindi, tutta l’area ad Ovest dell’Imera, geomorfologicamente unitaria sembra rivelarsi, nelle linee generali, "omogenea" dal punto di vista culturale come evidenziano gli studi sulle tre classi ceramiche (ceramica incisa/impressa, ceramica matt-painted, ceramica monocroma/bicroma) e le ricerche sulle scelte insediamentali e l’organizzazione urbanistica dei centri abitati indigeni. Com’è noto, allo stato attuale delle ricerche non è possibile enucleare, in corrispondenza della cuspide occidentale, una produzione ceramica "elima" da quella tradizionalmente attribuita ai "Sikani"; "archeologicamente" quindi sfugge la linea di confine tra due eventuali aree (Sikana e Elima). Naturalmente con questo non si vuole negare l’esistenza dell’entità etnica e/o politica di cui parla Tucidide e la cui presenza è documentata, in età storica, da numerosi documenti epigrafici, ma è probabile che in quest’area "gli elementi peninsulari" di cui parlano le fonti, contrariamente a quanto si riscontra nella Sicilia orientale, non incisero profondamente sulla cultura materiale, anche se alla coesistenza di genti diverse (Indigeni, Greci e Punici) dobbiamo attribuire alcune peculiarità che ho messo in evidenza altrove.
Ugo Fantasia
L’archaiologia siciliana nel suo contesto storico e narrativo
L’excursus sugli insediamenti antichi di Sicilia che apre il sesto libro delle Storie di Tucidide (VI 1,2-5) non è soltanto una preziosa fonte per la storia del popolamento e della colonizzazione dell’isola, ma anche un importante tassello della complessiva visione tucididea dell’epocale scontro fra Atene e Siracusa. Dopo un’illustrazione della sua struttura e una spiegazione del perché esso sia premesso alla narrazione della spedizione del 415 e non a quella del 427, la relazione si sofferma sulla fitta trama di riferimenti incrociati che lega l’excursus al più ampio contesto in cui esso è inserito – presentazione della spedizione (VI 1,1, 6, 8) e discorsi di Nicia e Alcibiade (VI 9-23) – e al ‘catalogo’ delle forze in campo alla vigilia della battaglia decisiva (VII 57-58). Dall’analisi ravvicinata di questi temi emerge una funzione dell’excursus, la cui selettività sembra peraltro obbedire almeno in parte ad una finalità dimostrativa, quale sfondo fattuale sulla base del quale Nicia elabora la sua visione (corretta dal punto di vista tucidideo) della situazione siciliana. Ma il suo potenziale esplicativo in ordine alle vicende storiche alle quali serve da premessa può essere adeguatamente apprezzato solo integrandone il messaggio con due idee complementari che il resoconto tucidideo fa emergere in modo più o meno esplicito: l’impossibilità per Atene di tenere sotto controllo la Sicilia anche dopo un’eventuale vittoria contro Siracusa e la graduale formazione, lungo le linee esposte per la prima volta da Ermocrate nel 424, di un fronte comune dei Sicelioti contro l’invasore.
Rosalba Panvini
Tra il Gela, l’Himera e l’Halykos: i Sicani nella tradizione tucididea
Nel contributo verranno analizzati i materiali recuperati in alcuni siti dell’area centro-meridionale della Sicilia, in parte coincidente con la Sikanìa. L’esame di tali manufatti consente di confermare la veridicità di quanto riportato dalle fonti antiche e, in primo luogo da Tucidide (VI, 2), il quale, a proposito dell’arrivo in Sicilia della gente italica riferisce della cacciata delle popolazioni sicane nella parte occidentale e meridionale dell’Isola.
SiciliAntica
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